Violenza di genere tra cultura, educazione, prevenzione e tutela della vittima

Il 25 novembre, una giornata come monito. Una giornata che vorremmo non esistesse, ma purtroppo esiste. Tanti i motivi che stanno alla base e che, anche alla luce degli ultimi eventi di cronaca, dovrebbero far riflettere e soprattutto farsi strada nella coscienza di tutti noi. 

E su questi temi, giovedì 23 novembre, nell’auditorium “Giancarlo De Carlo” del Monastero dei Benedettini, si è tenuto il convegno dal titolo Violenza di Genere: la cultura, l’educazione, la prevenzione e la tutela delle vittime su iniziativa del Dipartimento di Scienze della formazione in collaborazione con l'Associazione nazionale antimafia “Alfredo Agosta”.

«Questo evento nasce in vista della 25 novembre. Quest’ultima data è stata designata dalle Nazioni Unite, nel 1999, per eliminare la violenza contro le donne», ha precisato la docente Paolina Mulè dell’ateneo catanese in apertura dei lavori in un auditorium affollato di studenti.

«Il Dipartimento di Scienze della formazione, appunto della formazione, e lo ripeto perché è essenziale sottolineare questa parola, da tempo si occupa di questa tematica sotto tutti gli aspetti dell’essere umano», ha spiegato la prof.ssa Loredana Cardullo, direttrice Disfor, la struttura d’ateneo dedicata alla formazione e all’educazione.

«Perché insisto su questo? Ritengo che il tema sia cruciale e richiede un intervento drastico, un intervento che deve partire dai progetti educativi e formativi, proprio dall'educazione. Questa giornata, questa settimana, non devono essere occasioni di retorica, non è più il momento della retorica, è il momento dell'azione», ha aggiunto la direttrice del Disfor.

Quando si usano le parole, il rischio di scadere nella retorica è sempre dietro l’angolo, ma esse circolano, sensibilizzano, gridano e mettono alla luce piaghe sociali come la violenza di genere. Sul territorio, però, esistono delle realtà che agiscono come l’Associazione nazionale antimafia “Alfredo Agosta”, nata nel ricordo del militare omonimo ucciso dalla mafia.

Ad illustrarne le attività è stata l’avv. Anna Maria Cacopardo, vicepresidente dell'associazione: «Il nostro scopo principale è creare canali di sensibilizzazione, varie sinergie con le istituzioni, con le associazioni, al fine di promuovere la cultura della legalità. Abbiamo istituito appositamente una sezione contro la violenza di genere».

«L’associazione, tra l’altro, ha attivato uno sportello di ascolto, supportato da eccellenti avvocati, da varie figure professionali, da psicologi, proprio al fine di rendere un servizio alla collettività – ha aggiunto -. Pochi giorni fa purtroppo è stata uccisa una donna, Giulia, dall'uomo che diceva di amarla, Giulia è una di noi, Giulia potrebbe essere nostra figlia, potrebbe essere nostra sorella, potremmo essere noi».

«Considerando che Giulia è la vittima numero 106 quest'anno di femminicidio, considerando che rispetto allo scorso anno, c'è stato un incremento, nonostante la presenza delle istituzioni e le misure repressive importanti da parte della politica internazionale e delle forze di polizia credo che da legale, ma soprattutto da donna, mi chiedo come sia possibile, in cosa abbiamo sbagliato, dov'è sta la falla. Perché, se è vero che la fase repressiva, tutto sommato, funziona; la fase preventiva, da qualche parte, inciampa», ha detto in chiusura di intervento Anna Maria Cacopardo.

È essenziale comprendere, però, che la violenza di genere è un fenomeno trasversale e complesso.

«Il problema non è di facile decodificazione e interpretazione, come purtroppo devo dire molti in questi giorni stanno facendo, perché quando si semplificano problemi complessi, c'è un rischio alto di sbagliare», ha specificato Filippo Pennisi, presidente della Corte d’Appello di Catania.

La complessità ha bisogno di continuità di azione, concetto portato alla luce dal prefetto di Catania, Maria Carmela Librizzi: «Credo che la risoluzione del problema non si trovi in tutte le manifestazioni concentrate solo nella settimana del 25 novembre. Occorre organizzare una manifestazione al mese per tutto l'anno e probabilmente solo così  l'attenzione si manterrà alta».

Sinergia: competenze diverse che lavorano per lo stesso obiettivo

«La problematica che oggi affrontiamo è esasperata dai numeri e dalla palude che si annida all’interno di ogni processo, di ogni fascicolo. In un fascicolo per i reati di violenza di genere ci troviamo spesso dichiarazioni alternanti. Sono problematiche di rilevante interesse che da tempo impegna la giurisprudenza nel trovare una soluzione, in particolar modo per qualificare, sotto un profilo giuridico, la figura della vittima del reato. Esiste una sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 2012 che detta i criteri che il giudice deve adottare per valutare la dichiarazione con rigore e in maniera penetrante, ma non basta», ha detto Giuseppe Grasso, componente della Camera penale di Catania.

A seguire Denise Caruso, presidente del Comitato Pari opportunità dell’Ordine forense di Catania, nell’intervento successivo, ha esposto la campagna portata avanti dal comitato evidenziando lo slogan Non è amore se fa male

«Non è un semplice slogan, ma è soprattutto un invito per un futuro di eguaglianza e rispetto, non solo il 25 novembre - ha aggiunto -. Questo è il senso della nostra campagna, incidere nell'ambito di un'iniziativa molto più ampia che riguarda procedure e iniziative di sensibilizzazione, formazione e informazione finalizzate alla riacquisizione dei valori fondamentalmente del rispetto di sé e del prossimo. Un progetto che parta dall'educazione della sensibilità dei giovani che sono gli adulti del domani e rispetto ai quali noi abbiamo l'obbligo, il dovere e la responsabilità di intervenire, non tanto come professionisti, ma ancor prima come esseri umani».

Le parole servono, in questi contesti, per chiamare le cose con il proprio nome, per focalizzarci su di esse. Esemplificative, in tal senso, quelle di Adriana Di Stefano, delegata alle Pari opportunità dell’Università di Catania.

«La Convenzione di Istanbul che, come è noto, è il principale trattato internazionale per la difesa dei Diritti umani, parla di violenza contro le donne, parla di violenza domestica – ha spiegato -. Nella sezione dedicata alle definizioni, si specifica cosa si debba intendere per violenza contro le donne basata sul genere. E si realizza quando si sommano elementi concomitanti: la violazione di un diritto fondamentale della persona, in questo caso una donna ed insieme un’ipotesi di discriminazione basata sul genere, cioè, fondamentalmente, una discriminazione determinata da squilibri o abusi di potere. E non avrei timori ad utilizzare le formule del patriarcato, in queste sedi, come in altre o a richiamare i femminismi».

Ponendo nuovamente l’attenzione sull’educazione e sulle difficoltà dei casi di violenza di genere, è intervenuta il sostituto procuratore della Repubblica, Anna Trinchillo.

«Per formazione professionale siamo abituati a un lavoro di repressione, ma non basta – ha detto in apertura di intervento -. Raccogliere una denuncia di una donna che accusa l’uomo che, in fondo, ama e che, spesso, è il padre dei suoi figli, è difficile. Per tale motivo, abbiamo fatto uno sforzo per cambiare registro: queste denunce richiedono un’attenzione maggiore e una predisposizione all’ascolto. In questo senso, è essenziale fare rete, circondare la donna: dai medici alle associazioni antiviolenza».

«È fondamentale, inoltre, riconoscere i segnali della violenza: un uomo che ti controlla il cellulare, che ti chiede, costantemente, con chi esci, che ti vieta di vestirti in un determinato modo, non si sta preoccupando per te, è possessivo», ha aggiunto.

Attrici fondamentali nella lotta alla violenza di genere sono anche le forze dell’ordine.

A rappresentarle nel dibattito è stato il Comandante della Legione Carabinieri “Sicilia”, il generale di divisione Giuseppe Spina.

«Le dinamiche violente seguono un percorso ben preciso: la costruzione della tensione, l’esplosione della violenza, la falsa riappacificazione, seguita, poi, da una condotta nuovamente violenta – ha spiegato l’esponente dell’Arma -. All’interno di questi meccanismi, il primo passo è riconoscersi come vittime, solo così si può ottenere il riconoscimento del sistema, per tale motivo, è essenziale denunciare, ma non basta. Chi riceve la denuncia deve essere in grado di instaurare una relazione comunicativa e di accoglienza con la persona per non incorrere in vittimizzazione secondaria».

A chiudere l’incontro, tessendo una visione più ampia del problema, è stata la procuratrice della Repubblica facente funzioni di Catania, Agata Santonocito.

«La violenza di genere è un fenomeno trasversale perché non conosce barriere anagrafiche, socio-culturali o geografiche – ha detto -. La cultura patriarcale, a parer mio, non è la sola causa, ma è una concausa. Una causa profonda è rappresentata dalla sempre più dilagante aggressività nel quotidiano».

«Dobbiamo imparare a vedere quel filo rosso che unisce fatti eclatanti come il femminicidio ed eventi che, falsamente, sembrano meno significativi. Viviamo in una società in cui il fallimento non è un’opzione possibile, in cui si fa fatica ad accettarlo così come un rifiuto – ha aggiunto la dott.ssa Agata Santonocito -. I bambini, spesso, nei contesti familiari sono eccessivamente protetti, questo significa che nel momento in cui dovranno gestire la rabbia, la tristezza, la frustrazione, gli stimoli, saranno in difficoltà. Cosa possiamo fare noi? Parlare, discutere qui, nelle scuole, dappertutto del modo in cui relazionarsi».

«La prevenzione non può essere relegata alle forze dell’ordine, alla magistratura perché noi, per definizione, arriviamo sempre dopo – ha tenuto a precisare il procuratore etneo -. Noi, tutti, dobbiamo avere un atteggiamento sentinella per riconoscere i segnali di chi ci sta vicino».

Da https://www.unictmagazine.unict.it/violenza-di-genere-tra-cultura-educazione-prevenzione-e-tutela-della-vittima

26 Novembre 2023

Costanza Maugeri


Data di pubblicazione: 28/11/2023